Emergenza terremoto

 

A seguito del terremoto che ha devastato l’Emilia Romagna e la provincia di Mantova, Fondazione ANDI onlus si è fin da subito attivata attraverso azioni concrete di solidarietà tra cui la raccolta fondi in favore delle popolazioni vittime del sisma, la mobilitazione dei colleghi perché offrano la loro opera volontaria sul territorio e la richiesta urgente alle aziende del settore dentale di spazzolini e dentifrici da distribuire alle popolazioni sfollate.

È proprio per incontrare i colleghi colpiti dal terremoto, conoscerne direttamente la situazione e valutare concretamente come aiutarli che, nella serata di ieri, si è svolto a Reggio Emilia un incontro a cui erano presenti il Presidente Nazionale ANDI, Dott. Gianfranco Prada, il Presidente della Fondazione ANDI onlus, Dott. Giovanni Evangelista Mancini, i dirigenti ANDI e della Fondazione, insieme al Dott. Guido Corradi, coordinatore per la Fondazione degli aiuti in loco.

È in questa occasione che ci è stato possibile raccogliere la testimonianza diretta del Dott. Gian Paolo Gennari, consigliere ANDI della Sezione Provinciale di Modena, colpito in prima persona dal sisma, che meglio di tante statistiche ci ha documentato il dramma e le necessità di un territorio ma soprattutto la voglia di ricominciare a vivere e a lavorare.

Al momento non è ancora possibile una stima precisa dei danni e di quanti siano i colleghi che hanno perso lo studio, le cifre a nostra disposizione parlano di circa 40 studi distrutti o non agibili, ma sono dati in continuo aumento. Per questo invitiamo tutti i colleghi delle zone colpite che siano in stato di necessità o quanti abbiano da loro questo genere di informazione a segnalarle alla segreteria della Fondazione ANDI allo 02 30461080 oppure via e-mail all’indirizzo segreteria@fondazioneandi.org.

 

È davvero difficile raccontare un’esperienza così “fisica” come il terremoto, io ne ho vissuti due in pochi giorni. Il terremoto ti attraversa letteralmente, ti può uccidere o lasciare vivo, ma la sua onda rimane dentro di te per sempre.

Il sisma del 20 maggio mi ha sorpreso in piena notte nella mia casa a San Felice sul Panaro. Non ho dato peso alla prima scossa dell’una e mezza, quella delle quattro mi ha buttato giù dal letto. Con la mia famiglia siamo riusciti a uscire mentre tutto crollava e, increduli, ci siamo radunati in giardino mentre la nostra casa continuava a ondeggiare. Eravamo al buio, scalzi e sgomenti.

Dopo i primi momenti, con un po’ di incoscienza sono rientrato in casa e ho preso le chiavi della macchina dove ci siamo rifugiati fino all’alba. Mentre si susseguivano le scosse di assestamento, ho  recuperato scarpe e vestiti per tutti.

Con la luce dell’alba ho visto intorno a me un paesaggio completamente nuovo: le case vicine ridotte a macerie, la mia con varie ferite ma ancora in piedi.

Alle sette è iniziato il cosiddetto “dopo terremoto”, su internet abbiamo saputo che Finale Emilia e San Felice erano distrutte e che, forse, c’erano stati morti. Le sirene si susseguivano e tutti eravamo alle prese con i telefonini per cercare di contattare parenti e amici.

I soccorsi sono partiti immediatamente.

Ho atteso il primo pomeriggio prima di rientrare in casa e scoprire che tutti i mobili erano rovesciati, nulla era più al suo posto, né tantomeno intatto.

Mi sono fatto forza e ho deciso di andare a Mirandola in studio per vedere cosa era successo. Ero preoccupato perché osservando la distruzione circostante non sapevo se lo avrei ritrovato. L’edificio c’era, ho fatto le scale e ho aperto la porta: stesso spettacolo di casa mia! Le pareti attrezzate rovesciate, le vetrinette in frantumi con tutti i vassoi per terra, la Tac spostata di un metro in centro alla stanza, i controsoffitti crollati. Ho pensato: “ci sarà da lavorare un sacco per rimettere tutto a posto!”. Ma non mi sono perso d’animo.

Il martedì mi sono ritrovato con dipendenti e collaboratori e abbiamo iniziato un turno suppletivo di pulizie pasquali. Consapevoli che la mappa della nostra città era cambiata per sempre, eravamo tutti convinti che la nostra esperienza con il terremoto fosse finita e, in una sorta “terapia di gruppo”, ci siamo raccontati la nostra avventura. Sabato e domenica un’impresa ci ha rimontato i controsoffitti, lunedì abbiamo rilavato, pulito e disinfettato tutto lo studio e avvisato i pazienti che l’indomani saremmo ripartiti. Martedì 29 ci siamo ritrovati in studio alle 8.30: Viviana, Natalina, Elisa, Letizia, Daniela, Simone il nostro stagista ed io. Silvia e Claudia sarebbero arrivate intorno alle 10.

Alle 9.03, terminato il caffè di rito, ho detto: “Forza ragazzi, si riparte! È stato un brutto sogno, ora è finito”. È iniziato allora un leggero tremolio e tutti abbiamo pensato che fossero le ormai consuete scosse di assestamento, ma il tremolio è continuato, sempre più forte, lo studio ha incominciato a saltare, le pareti mobili a uscire dal loro alloggiamento. Le ragazze, spaventate, hanno iniziato a urlare mentre ogni cosa intorno a noi si muoveva e a fatica si riusciva a stare in piedi. Il rumore era assordante e mentre tutto ci cadeva  addosso, con le mani sono riuscito a tenere due pareti mobili e a impedire che ci rovinassero contro. Sono stati momenti interminabili, poi la scossa è cessata e siamo riusciti a uscire in strada. Solo quando ci siamo trovati in un’area sicura  i nervi hanno potuto cedere, ognuno di noi è corso a casa in cerca dei familiari.

Per noi, come per tutti i lavoratori di Mirandola impegnati a ricostruire il proprio paese dopo l’incubo del sisma, quello era il primo giorno di lavoro. Questa volta il bilancio di vite umane perse è stato altissimo. Da allora non sono ancora rientrato in studio e non so quando sarà possibile farlo.

Chi ha potuto è fuggito da Mirandola, io sono ancora qui, a casa mia, a puntellarla per impedire che crolli. Ora tutti abbiamo paura del primo giorno di lavoro dopo il terremoto.

 

Dott. Gian Paolo Gennari

Consigliere ANDI Modena

 

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