Reportage dal corso di formazione al volontariato COI

 

Per due intense giornate medici odontoiatri di tutte le età sono tornati tra i banchi e si sono messi in gioco per imparare qualcosa che esula dall’area puramente medica e sconfina, addirittura, nel campo dell’antropologia.
 
I motivi che hanno spinto questo eterogeneo gruppo di professionisti a partecipare a un weekend di formazione al volontariato, offerto dal COI e promosso da Fondazione ANDI, sono i più diversi.
C’erano giovani “disillusi dal mondo in cui ci siamo ritrovati, chiuso e troppo legato al denaro” che avevano bisogno di “ritrovare il senso profondo del compito umanitario medico” e quella passione e bisogno di aiutare gli altri che li aveva motivati alla professione medica. C’era poi la voglia, caratteristica di ogni età, di mettersi alla prova, di imparare e di confrontarsi con il nuovo. Grande era l’entusiasmo di ritrovare uno specchio alle proprie aspettative e ai propri ideali, che spingono ciascuno in modo diverso al volontariato.
“Ho scoperto un ambiente e delle persone che riscattano l’idea negativa che, con il tempo, mi stavo costruendo di questa professione, – ha confessato una giovane dentista – in questa stanza ci sono passione, idealismo e speranza. Abbiamo tutti voglia di imparare e di metterci a servizio di chi ha bisogno di noi”.
 
Durante il primo giorno il Dott. Vecchiati, relatore del corso, ha spiegato i pilastri delle attività di volontariato e delle modalità di azione delle ONG, mettendo in luce le principali problematiche che si possono incontrare e smontando la convinzione che “fare del bene sia sufficiente in sé”. Con passione ha illustrato, attraverso storie e aneddoti, tutto quello che il nostro agire può comportare in un Paese in Via di Sviluppo, i riscontri culturali e le implicazioni che può avere. Al volontario, infatti, succede di scontrarsi con una cultura completamente diversa dalla propria, spesso difficile e priva di molte risorse, nella quale dover comunque lavorare con l’obiettivo di apportare un contributo positivo. Per questo la formazione dei volontari è un passaggio fondamentale: non soltanto a livello medico ma anche psicologico e culturale.
 
Il secondo giorno è iniziato con una lezione di antropologia in cui il Dott. Salza, docente e antropologo, attraverso storie ed esperienze personali, ha aperto una finestra su quelli che possono essere gli incontri e le incomprensioni culturali. “Il medico – ha spiegato con una fertile provocazione – deve innanzitutto rimettersi in gioco come uomo e immergersi nella cultura locale per capire profondamente la mentalità, i riti e le tradizioni religiose della popolazione che vuole aiutare. Deve essere capace di apprendere prima ancora di poter insegnare”.
 
Dopo l’interessante ed esotica introduzione, dentisti specializzati e già operativi in progetti nei Paesi in Via di Sviluppo, hanno fornito consigli e concrete indicazioni sulle procedure da seguire nelle varie situazioni sul campo. Hanno affrontato argomenti come la sostenibilità e la continuità del progetto nel tempo ed esortato i dentisti a privarsi dei propri preconcetti e delle proprie abitudini professionali e a ragionare in funzione delle risorse e dei bisogni del Paese in cui andranno a operare.
 
Tra i saluti e i ringraziamenti finali il Dott. Mancini, Presidente di Fondazione ANDI, ha ricordato l’importanza di aiutarsi a vicenda e di fare gruppo per avere la forza e la possibilità, in un periodo così difficile, di realizzare i progetti e ricevere i finanziamenti necessari. “Il volontariato odontoiatrico inizia solo ora a essere riconosciuto – spiega il Presidente – e il percorso da compiere è ancora lungo per questo, ora più che mai, dobbiamo tenere presente che l’unione fa la forza.”