Oggi il volontariato è un’esperienza umana e sociale riconosciuta e che impegna nel nostro territorio e all’estero persone e associazioni di diversa cultura e ispirazione. La ‘Carta dei valori del volontariato’, stilata dal mondo dell’associazionismo sociale italiano, al termine dell’Anno internazionale dei Volontari proposto dall’O.N.U., qualifica come volontario “la persona che, adempiuti i doveri di ogni cittadino, mette a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità per gli altri, per la comunità di appartenenza o per l’umanità intera. Egli opera in modo libero e gratuito promuovendo risposte creative ed efficaci ai bisogni dei destinatari della propria azione o contribuendo alla realizzazione dei beni comuni”. Partendo da presupposti culturali diversi, il volontario agisce, in forma individuale o associata, per il bene comune e un mondo migliore.
Proprio per questo il volontariato è un contributo essenziale che tutti i membri della società possono dare per aiutare a migliorare la vita di chi nasce in paesi meno fortunati del nostro e oggi anche alle persone meno agiate e in difficoltà che vivono in Italia come migranti, rifugiati, anziani e bambini. Attraverso il volontariato molte persone e gruppi cercano di attuare, nella propria vita e in quella delle realtà coinvolte, una risposta alle istanze di giustizia e di cambiamento sociale sempre più pressanti. Se si è medici e operatori sanitari, come lo siamo noi, l’apporto che si può offrire è ancora più importante perché ampiamente qualificato e mirato a un bisogno primario e universale di tutti, la salute.
Come sapete i progetti della nostra Fondazione si basano quasi esclusivamente sulla disponibilità di tanti colleghi volontari che scelgono di impegnarsi, in diversi ambiti e modi, per diffondere la cultura della salute orale, per fare ricerca e per curare gratuitamente chi ne ha più bisogno, in Italia e all’estero. È proprio sulle missioni di volontariato internazionale che vorrei fare una riflessione e aprire un confronto con voi per renderle il più possibile efficaci, sia per chi le compie che per chi ne beneficia, anche se, in generale, i concetti espressi sono ugualmente applicabili in Italia dove sempre più spesso veniamo in contatto con persone di nazionalità diverse.
Abbiamo già avuto modo in passato di parlare di cooperazione e volontariato nazionale e internazionale in campo odontoiatrico e di ragionare sulla necessità di una specifica preparazione dei volontari, per garantire la quale abbiamo organizzato numerosi corsi di formazione. Infatti, anche se ogni slancio umanitario è meritevole, bisogna evitare pressapochismi e improvvisazione e far sì che ogni volontario sia consapevole di cosa troverà, sia preparato ad affrontare ogni inevitabile contrattempo o difficoltà, conosca preventivamente la realtà in cui sarà catapultato o, per chi fa volontariato in Italia, abbia comunque a disposizione gli strumenti per comprendere appieno le diverse esigenze e identità culturali di chi assisterà.
Al centro di ogni nostra azione e intervento non possono essere le nostre esigenze e le nostre consuetudini ma le aspettative e i problemi di coloro che vogliamo realmente aiutare. Oggi, confortato anche dall’esperienza che la nostra Fondazione si è costruita sul campo, vorrei fare un ulteriore passo e offrire un contributo alla costruzione di una vera e propria cultura del volontariato come strumento di dialogo e comprensione delle realtà altrui.
Nelle missioni all’estero, un aspetto fondamentale, di cui non sempre si ha piena consapevolezza, è legato alle modalità di interazione con le popolazioni locali, la loro cultura, le condizioni strutturali e le normative sanitarie vigenti. Spesso inoltre non ci si interroga sufficientemente sul dopo e sulla ricaduta che il nostro intervento avrà quando noi saremo ritornati alle nostre consuete vite da occidentali. Possiamo però iniziare a dire che una missione sanitaria nei paesi più poveri e bisognosi, seppur mossa dal desiderio di agire contro le ingiustizie e le disuguaglianze, non deve rappresentare solamente un puro atto caritatevole ma deve invece mirare a diventare un intervento utile e formativo anche a lungo termine. Andare in un paese povero e curare, uno di seguito all’altro, centinaia di pazienti, con un approccio professionale commisurato alla nostra realtà di paese ricco, seppur valido nell’immediato, non è l’approccio migliore, perché non tiene conto dei vincoli e dei limiti delle strutture locali. Il rischio, infatti, è quello di trasferire approcci medici e di cura occidentali che però spesso non si integrano con quelli del paese ospitante, con il risultato di creare in futuro, da una parte, aspettative irrealistiche tra i pazienti e, dall’altra, di frustrare gli operatori locali che, carenti in formazione e mezzi, non possono uguagliare le prestazioni che abbiamo offerto noi. Un approccio assistenzialistico che non solo è inutile ma, spesso, addirittura nocivo. Il ritenerci l’unica soluzione per i problemi altrui fa sì che pensiamo di risolverli alle nostre condizioni e con i nostri mezzi, senza soffermarci a pensare ai vincoli e alle limitazioni di chi ci ospita. I problemi di salute orale, infatti, non potranno mai essere superati se le società più povere resteranno solo destinatarie della generosità dei paesi benestanti senza che avvenga un reale trasferimento di competenze per affrontarli autonomamente.
Come fare allora per dare assistenza e sostenere le politiche di salute e sviluppo del paese in cui si va come volontari?
Occorre passare dal concetto di “fare beneficienza” a un nuovo modello che coinvolga e supporti gli sforzi locali. Per questo, per evitare di imporre modelli non perseguibili, Fondazione ANDI con i proprio progetti e volontari ha sempre cercato di integrare il lavoro degli operatori sanitari locali, formandoli e sostenendo i programmi esistenti. Su questa strada vogliamo continuare.
La sfida per i volontari deve essere quella di applicare le proprie competenze tenendo conto di contesti e situazioni di vita differenti: solo così potremo veramente contribuire in modo significativo a rafforzare la salute delle persone che vogliamo aiutare.